In passato si tendeva a distinguere tra fibrillazione atriale parossistica (PAF) e fibrillazione atriale cronica (CAF).
Secondo le più recenti linee guida dell’American College of Cardiology/American Heart Association/European Society of Cardiology (ACC/AHA/ESC) è necessario distinguere innanzitutto un primo episodio isolato di fibrillazione atriale, indicare se la regressione è stata spontanea o indotta, stabilire se il paziente è sintomatico o meno, tenendo presente che può esserci incertezza nel definire la durata dell’episodio stesso e l’eventuale presenza di episodi misconosciuti in passato.
Quando nello stesso paziente si siano accertati 2 o più episodi, la fibrillazione atriale viene considerata ricorrente. In questi casi, qualora via sia il ripristino spontaneo del ritmo sinusale e gli episodi siano di durata inferiore o uguale a 7 giorni, la fibrillazione atriale ricorrente viene designata come parossistica; nel caso in cui gli episodi abbiano durata superiore a 7 giorni e/o il ripristino del ritmo sinusale abbia richiesto un trattamento di cardioversione farmacologica o elettrica, la fibrillazione atriale ricorrente viene designata come persistente. Nei casi in cui la cardioversione elettrica non sia stata tentata o sia stata inefficace e il paziente permanga in fibrillazione atriale, si parla di fibrillazione atriale permanente.
Questa classificazione prende in considerazione tutti gli episodi di fibrillazione atriale di durata superiore a 30 secondi e nei quali non sia riconoscibile una causa reversibile. I casi secondari a condizioni precipitanti quali infarto miocardio acuto, chirurgia cardiaca, miocardite, ipertiroidismo e malattia polmonare acuta vengono considerati separatamente: in questi pazienti il trattamento della patologia di base associato al trattamento dell’episodio di fibrillazione atriale di solito determina la risoluzione dell’aritmia.